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Il 29 giugno

 

 

Ero una bambina e l’arrivo del 29 giugno significava per me l’inizio dell’estate. Si andava al mare per la prima volta e durante i giorni precedenti a questo giorno andavo con mamma al grande Magazzino “Standa” di Via Appia a Roma per comprare il costumino da bagno nuovo.

Si preparava una vera e propria carovana di parenti e amici. Eravamo in tanti e ognuno di noi vedeva questo giorno come un giorno molto particolare. Se consideriamo che parlo degli anni che vanno dal 1963 al 1970 si può facilmente intuire che il mercato non offriva una grande scelta e per i divertimenti valeva la stessa regola.  Gli ombrelloni erano tutti uguali, tutti con le strisce colorate o tutti blu come le sdraio.

Ricordo con un sorriso una specie di cabina che mio zio Antonio portava sul bagagliaio della sua Seicento. Era blu, tutta sbilenca e tutta da montare, ma era il nostro vanto perché a turno ci permetteva di toglierci i vestiti senza dover andare nei bagni pubblici dove c’era una fila pazzesca.

I giochi che facevamo farebbero ridere a crepapelle i bambini di oggi. Avevamo le tamburelle, la palla e i salvagenti colorati, ma il 29 giugno restava una vera e propria festa. Di solito ci fermavamo al settimo cancello della spiaggia libera dopo Ostia perché era un luogo abbastanza tranquillo.

Correvamo felici sulla sabbia carica dell’umidità della notte e andavamo subito a sentire se l’acqua era fredda. Di solito lo era e quindi ci apprestavamo a soddisfare la nostra voglia di merenda con le cose deliziose e semplici preparate dalle nostre mamme. Era bello poi restare a poltrire al sole, sdraiati sugli asciugamani con la radiolina a transistor accanto che suonava gracchiando un po’. Avere il mangiadischi era il massimo ed io ne avevo uno arancione da cui ascoltavo senza sosta le canzoni di Gianni Morandi.

Mentre scrivo ho l’impressione di vedere un vecchio film, una di quelle commedie all’italiana che hanno come soli interpreti i membri di una stessa famiglia.

Non avevamo niente, ma eravamo tanto tanto felici. Con il passare delle ore il calore del sole cominciava a farsi sentire e di solito io facevo la fine del gambero, ma non me ne importava niente. La sera mi veniva anche la febbre molto alta ed erano dolori! Il corpo bruciava, il caldo opprimeva, ma quella magia di un giorno intero trascorso all’aria aperta bastava a non farmici pensare..

Quando si avvicinava l’ora del pranzo raccoglievamo tutte le nostre cose e con la macchina ci spostavamo verso la pineta di Castel Fusano. Che risate quel giorno in cui zia Giovanna apparecchiò con tanta cura e poi si sedette su un formicaio! Che dramma! Stendavamo le tovaglie per terra e pian piano dai bagagliai delle macchine venivano fuori le varie teglie piene di cibo per il pranzo.

Tra di noi c’era chi cantava, chi giocava a palla, chi passeggiava e raccoglieva pinoli e chi dormiva beato sotto i pini ombrosi.

Quando il pomeriggio cominciava a volgere al termine iniziavamo a raccogliere tutto quello che avevamo sparso a terra e partivamo alla volta di casa.

Ridevamo. Eravamo inebriati da quella nostra splendida e semplice felicità. Nessuno di noi aveva pretese e noi bambini ci accontentavamo di aver trascorso una giornata diversa dalle altre, senza fare i compiti e senza le solite regole.

Alla sera a casa ci aspettava un sonno tranquillo e ristoratore che ci avrebbe portato al nuovo mattino senza rimpiangere di non poter andare di nuovo a giocare sulla spiaggia. Sapevamo che andare al mare era un premio, un fatto molto raro. A volta ci ritornavamo ancora un paio di volte durante l’estate.

Per noi non era un problema pensare a chi aveva la possibilità di trascorrere al mare un mese intero o anche di più… Per parafrasare un vecchio film, eravamo forse poveri… ma belli…

 

 

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